La parmigiana e la ri-involuzione
Basta, per favore. Non se ne può più. Sono dieci anni almeno che continua con questa roba, fritta e rifritta appunto, che ciclicamente riappare nella colonna di destra di repubblica.it fra tette e gattini. La parmigiana e Coltrane, le purpette e Giòllennon, la ricotta scante e Mayall. Per carità, gli spettacoli li fai lui e ci dice quello che vuole ma se tutto restasse nell’ambito dello show va bene (per cui continua pure con la parmigiana e Coltrane visto che la formula pare funzionare ancora, a me due volte son bastate). E’ la velleità di assumersi il ruolo di depositario dei saperi che trovo pres-untuosa. Forse perché trovo pres-untuoso già il dichiararsi “economista” (studi a riguardo? pubblicazioni? titoli?), forse perché “la complessità dei sapori della parmigiana” si scontra con la mia idea di un piatto molto molto semplice (melanzane, salsa di pomodoro, basilico), che mi lascia dubbi anche sulle sue reali capacità e conoscenze gastronomiche, funzionali a uno show ma inutili a tavola. E’ quest’aria insopportabile, fintamente vicina ai lavoratori, ai proletari (che da oggi son meno proletari sia per mancanza di prole che per trasformazione linguistica in working class; evidentemente alla conservazione della lingua ci pensa qualcun altro), quest’immagine di rivoluzionario in pantofole che proprio non mi va giù (e mi congratulo con me stesso per non aver utilizzato l’abusato e detestabile termine radical-chic).
Ma lascerei perdere il giudizio personale e parlerei di contenuti.
Trovo che il richiamo continuo e reiterato alla tradizione (che ha la stessa origine etimologica di “tradimento“, il passo ulteriore fallo tu), che la paura del cambiamento per la difesa de “l’identità stessa della gente, l’identità di un luogo, di una nazione” siano concetti tipici di un certo conservatorismo paraleghista piuttosto che di quelle salvifiche ideologie alle quali sembrerebbe richiamarsi il nostro pres-untuoso eroe. Quali sono i criteri per stabilire che un elemento materiale o immateriale diventa tradizione? Il tempo? Forse no. Se avessero ragionato con questi parametri allora la parmigiana non sarebbe mai nata visto che sino alla fine dell’800 il pomodoro non esisteva se non come strana pianta decorativa. Per fortuna in tempi di fame e miseria si sta poco a fare i fighi e qualcuno cominciò a usare queste bacche rosse per rendere più appetitosa la “cucina delle nonne” che molto spesso comprendeva anche gatti, volpi, tassi e qualsiasi cibo la working class (sic) riuscisse a procurarsi. Lo stesso dicasi per il giusto orgoglio padano fatto di risotti, patate e mais, ma sarebbe bello sapere che fine ha fatto la tradizione lombardo-veneta dei 2500 anni precedenti.
E’ strano poi che il richiamo a questa fantomatica tradizione per “difendere l’identità di un luogo” (manco fossimo a casapound) venga da uno che non dovrebbe ignorare che se siamo quel che siamo (mi riferisco al salento) è perché per mille e mille anni siamo stati “contaminati”, esposti a rimescolamenti, invasioni, siamo stati trasformati culturalmente, etnicamente e linguisticamente. E non occorre essere antropologi per sapere che questo è quello che è sempre accaduto per qualsiasi civiltà, solo che oggi i contatti avvengono in maniera più frequente ma più “pacifica” perché il pianeta è diventato davvero piccolo e noi forse un po’ più assennati (ma sull’ultimo punto ho i miei dubbi).
Il fatto è che antropologicamente siamo una specie molto molto curiosa e quando qualcuno ci dice di non fare una cosa solitamente ottiene l’effetto opposto (e guarda a volte le coincidenze ma il nostro primo tabù fu proprio alimentare).
E siccome da buon italiano mi piace mangiare (adoro anche i luoghi comuni) non vedo perché dovrei privarmi del piacere di consumare o cucinare cibi giapponesi, cinesi, peruviani o turchi col timore di perdere la mia identità, qualsiasi cosa questo significhi. Quello che vorrei è appartenere ad una società libera di confrontarsi con altre culture gastronomiche, magari rielaborarle, magari rifiutarle per ragioni di gusto e non di diktat, e magari fonderle con le proprie conoscenze (e sì, gli spaghetti al pomodoro in senso stretto sono una meravigliosa fusione fra gastronomia cinese e azteca lol).“